Cedimento

Appunti per il manicomio di Imola.
Padiglione 13

La forma peggiore di follia è quella indotta dalla reclusione. Dall’internamento che elimina ogni eventuale superstite segno di lucidità. L’annullamento della volontà, il tempo che viene reso inerte e vuoto, l’alienazione della libertà.. L’idea stessa che, mentre da un carcere vi è la speranza di uscire dopo un lasso predeterminato di tempo, la detenzione in un manicomio non ha scadenza. Non ha termine. Apre una parentesi che si chiude solo con la morte. La follia lucida, “vigile”, cosciente (sia pure a tratti, della propria condizione) delle limitazioni di spazio e di tempo, di libertà di pensiero e di parola è terribile e devastante. E’ un cimitero anzitempo. Ogni pensiero, ogni parola diviene oggetto pronto a ritorcersi contro chi ne è l’autore. Le paure si dilatano senza confini.
I passi sono sempre gli stessi. Circolari. Lo spazio esterno un bene proibito. L’angoscia del tempo che scappa via in un moto circolare anch’esso, che torna sempre sui suoi passi senza mai trovare una condizione rettilinea. Tempo sprecato per sempre e mai concesso.
L’angoscia dello spazio negato; lusso per chi non sa che farsene e lo spreca.
Spazio e tempo diventano entità astratte e non usufruibili. Lontane ed estranee.
Unica via di “salvezza” è cedere. Non resistere. Non opporsi. Un cedimento “strutturale”, fisico e mentale, che viene provocato o scelto. Una sorta di svuotamento più o meno volontario della coscienza. Stato di non resistenza, rinuncia e abbandono. Un modo scelto da altri per esser resi “inoffensivi” o scelto come unica condizione di “sopravvivenza”.
Non penso perciò non esisto più.
Svuotamento improvviso e completo.
“Cedimento strutturale”.
Cedimento.
Tutto è nero.
Polvere.
Cenere.

Note tecniche
Prima stanza
Spazio vuoto. Non necessariamente ripulito e ordinato.
Telo di proiezione sulla parete opposta a quella d’entrata. Discosto dal muro di fondo quanto basta per lasciare libero il passaggio d’accesso alla stanza successiva.
Il telo di proiezione deve essere della massima misura possibile (anche mt. 3 x 4) e comunque grande poco meno dell’intera parete.
Il soggetto della proiezione è quanto accade nella seconda stanza.

Seconda stanza
Sacchi neri appesi al soffitto. Stoffa nera o pelle di scarto molto scura.
Dimensioni variabili in altezza da mt. 1,80 a 2,10. Diametro: cm.30 alla sommità e 70 alla base. In alto, cucita all’interno, un’anima in metallo che tenga aperto il sacco.
Appesi a circa 40 – 50 cm. Dal soffitto in modo che lascino una luce (dalla parte più bassa al pavimento) di 150 cm. circa.
Chiusura inferiore con spago di canapa intriso di salnitro o zolfo.
13 sacchi (9 che si aprono, 4 che restano chiusi).
Ogni sacco contiene: cenere, polvere, segatura, parallelepipedi di piccole dimensioni di legno combusto e carbone, mischiati a terra nera in quantità sufficiente a far sì che tutto il contenuto del sacco diventi nero.
I parallelepipedi di legno saranno combusti quanto basta perché possano sbriciolarsi in superficie al contatto di chi ci camminerà sopra o vi inciamperà fortuitamente.
I sacchi saranno appesi in modo tale che il loro contenuto possa essere lasciato libero di cadere a terra inondando la stanza di polvere nera. Alcuni sacchi dovranno rimanere integri per accentuare il senso di “pericolo”, di precarietà di chi cammina. La polvere nera che si creerà all’apertura dei sacchi inonderà tutta la stanza facendo diventare nero e dall’aria irrespirabile tutto lo spazio. Si depositerà poi lentamente sulle pareti e, soprattutto, sul pavimento dove la gente successivamente potrà camminare.
L’apertura e il crollo del contenuto devono essere repentini e improvvisi. Inaspettati. Lo svuotamento avviene in centesimi di secondo, quasi che non ci si renda conto di ciò che sta avvenendo. In qualche caso invece, svuotamento “a clessidra”. Silenzioso, lento e inesorabile. Come sabbia che sfugge dalle mani. Cade a terra senza troppo clamore, senza fare troppa polvere.
Camminare sulla superficie nera (in parte “ovattata”, in parte ostacolata da legni e carbone) ripropone, sviluppandolo,il discorso poetico-esistenziale di “Camminamento incerto”. All’incertezza del camminare, del procedere, si aggiunge il senso di precarietà costituito dai sacchi che penzolano vuoti e, soprattutto, da quelli ancora carichi del loro contenuto.
L’ambiente sarà lasciato semibuio (imposte appena socchiuse) e non illuminato artificialmente.
Tutto dovrà essere ripreso con una o più telecamere e proiettato nella prima sala.
E’ necessario registrare con attenzione anche il suono dell’impatto al suolo. In particolare il suono sordo della polvere e quello più fragile e vivace dei legni e del carbone.
Le riprese potranno essere mandate in diretta nella prima stanza e/o montate.
Il montaggio deve includere distorsioni, “interferenze”, immagini sfuocate, rallentate e in negativo. Il risultato finale deve essere molto artigianale, lento, ripetitivo, ossessivamente disturbato.
Immagini in bianco e nero con fotogrammi a colori.
Interferenze come quelle televisive. Ripresa del filmato da monitor o schermo in modo da ottenere delle vibrazioni con un effetto luci da elettroencefalogramma.

Scritti di ricoverati all’Osservanza
“Quando sono interrogata dai medici ho anche troppa roba da dire ma quando debbo spiegarmi senza di loro vedo la confusione nella mia mente e il contrasto dei miei sentimenti ma non sono capace di dire nulla”.
“Pazza era io e Viva”
“Si può anche sognare in una condizione di semiveglia. Uno non è addormentato né desto”.
Torna alla mente l’Antigone di Sofocle: “… esser straniera alle case dei morti
e a quelle dei mortali
né tra i vivi esser più
né tra gli estinti”
Cedimento

Svuotata d’improvviso
caduta a terra
con un tonfo soffuso
la mente sfugge da sé
confusa nella sua
fragile fuliggine
che lentamente
si deposita.

Frammento d’amianto
nel respiro,
acido e tiepido
soffocamento
dell’anima.
Il sulfureo fuoco filtra nell’anima confonde i passi del cammino. I piedi sprofondano nel vuoto buio di un buco nero. La mente come stoffa inamidata autunno - inverno 2005.2006


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